IL NUOVO CHE AVANZA MA IL VECCHIO E’ SPERANZA

berardinone 
cerasa
Gianni Cerasa, con l’innocenza spaesata e spaesante di chi arriva tardi alla festa, dove non conosce il padrone di casa e chiede a chi gli sta intorno chi sia, come si chiama, sente parlare di Marco Bera e si chiede ma chi è costui?
Gianni, per capire, tu sarai Marco Bera.  Tu non lo sai, ma con Marco Bera ti stai disputando un posto in prima fila nella piccola storia dello sci meridionale. Certo tu te lo stai giocando con le tue carte, che sono la meticolosa organizzazione, la gioiosa puntigliosità della messa in atto di quanto programmi, l’entusiasmo che ti ha fatto traslocare festosamente tutti romani a Roccaraso in un’annata senza neve.
Bene, con te Marco Bera può condividere solo l’entusiasmo, perché quanto a capacità programmatiche, il nostro spiccava per la più disarmante inventiva inprovvisativa. Le ricognizioni di Bera? Si racchiudevano in questa candida formula volta a disvelare le insidie del percorso: ”uaglio’ questo è il punto chiave!” Per il resto solo istinto, intuito, piedi eccellenti è giù a tutta.
Marco in pista era immerso in se stesso, nella sua perfetta concentrazione che gli consentiva di improvvisare piuttosto che ripassare lo spartito. Me lo ricordo una volta a Calice di Vipiteno alla coppa Città di Bolzano, che io volevo portare con lui, molto più giovane di me, al C.U.S Napoli; sbagliò l’ingresso dalla stradina al vertiginoso muro che seguiva, chiunque si sarebbe disunito, tentando disperatamente di recuperare subito quota per evitare di accumulare ritardo su ritardo, lui invece niente, solo una smorfia di disappunto e poi di nuovo giù a palla senza scomporsi per arrivare secondo al traguardo.
Con Fabio Marino, in età giovanile, è stato il fenomeno che se la batteva con i migliori del Centro-Sud, tipo i romani Rebecchini, Marsaglia (papà di quello che oggi corre in coppa del Mondo), Spinelli (mi sembra che i Reale non erano ancora apparsi sulla scena), gli abetonesi Baiocco e company, per non dire che in qualche occasione se la battevano addirittura con Paolo De Chiesa. Marco e Fabio sono stati i primi napoletani a diventare allenatori, Berardinone martellava tutti in tutte le gare quaggiù, non ne lasciava una, era affetto da bulimia di primato. Però una virtù aveva sopra le altre, il suo senso della sobrietà, della compostezza, una volta, ancora bambino, al traguardo redarguì aspramente il padre Pallino, reo di aver esultato, alla caduta dell’avversario di turno, con un fragoroso : “ce l’amm mis ncul”, enfatizzato dal gesto dell’ombrello. Caro Gianni,come tu stesso hai detto, sei arrivato tardi, troppo tardi per conoscere al cancelletto di partenza uno dei più bravi e pittoreschi atleti che abbiano mai calcato la scena del nostro sci, ora Marco purtroppo non gareggia più, mal di schiena, una truppa di figli da seguire, gli allievi che lo aspettano, non ne può più, però stai sicuro che a tutte le gare che facciamo, prima o poi fa capolino e tu capisci che sa tutti i tempi di quelli dei suoi tempi.